sabato 29 agosto 2020

"Il fuoco ardente nel nostro cuore"

 Dal libro del profeta Geremia

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Ger 20,7-9    Sal 62    Rm 12,1-2    Mt 16,21-27

Commento: Avete presente quei momenti belli di incontro pieni di tenerezza, dove dichiariamo il nostro amore per l’amata o l’amato, proprio in questi noi poniamo una premessa fondamentale di gioia futura e diciamo contemporaneamente la nostra disponibilità a vivere con e per l’altra/o. Lo stesso è con Gesù, il nostro confessare la nostra fede in Lui pone la premessa di disponibilità a seguirlo dovunque Egli ci porti e questo significa abbandonare la modalità di ragionamento alla quale, dalla nascita, siamo stati abituati. Prendere casa con l’altro/a, condividere la nostra vita concretamente con un’altra persona, non richiede di fatto l’abbandonare le nostre abitudini, modi di fare e pensare, per trovarne di nuovi che siano comuni e condivisi, che siano di fatto il nuovo frutto della nuova vita assieme? Quando ci si sposa, con i due prende casa anche il Signore anzi, sono i due sposi che prendono dimora stabile presso Lui e quindi questo li impegna a ricercare la nostra felicità che deriva esclusivamente dal fatto di cominciare a guardare le cose, le persone, i fatti che accadono, con gli occhi di Dio, con i ragionamenti di Dio, facendo della nostra vita una avventura ordinata “secondo Dio”.

Ma quanto difficile è questo cammino? Soprattutto nei momenti di buio, di sofferenza, di smarrimento, in quei silenzi tra coniugi dove si è lontani anche se vicinissimi fisicamente, nelle incomprensioni che sono frutto della nostra poca disponibilità all'ascolto, nelle nostre azioni sbagliate dettate dall'orgoglio, che sfociano sempre in allontanamenti e solitudini dove non riusciamo a intravvedere luce. In questi momenti si sperimenta anche la fatica di sentire vicino il Signore. E allora si è portati a ribellarsi, verso chi ci sta accanto e anche verso un Dio che non cogliamo vicino. Come è successo al profeta Geremia che nella prima lettura da sfogo al suo rammarico verso Dio, che inizialmente lo ha sedotto, gli ha fatto sentire la bellezza del suo progetto che lo inviava a portare a tutti la sua Parola, ma ora sembra che non lo accompagni più nella sua vita quotidiana.

Geremia si sente tradito dal Signore e manifesta apertamente: “Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.” Per questo Geremia arriva a pensare di lasciare cadere quel disegno meraviglioso di salvezza che il Signore gli aveva prospettato. Geremia è tentato di mollare tutto, paventa la fuga davanti alle esigenze schiaccianti del compito che gli è stato dato, la tentazione di non parlare più a nome di Dio. “Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!”. Dove trovare allora il senso e la motivazione di fede in queste condizioni? È da notare un aspetto importante che è legato alla vocazione di Geremia che è profeta, testimone di Dio, questo significa che: resti in silenzio o parli, esso sempre e per sempre è profeta di Dio. Per questo egli si troverà a soffrire a causa della Parola, perché questa non sempre è accettata dal mondo che non pensa secondo Dio. C’è un legame indissolubile tra sofferenza del profeta e Parola di Dio, questo da il senso alla fede.

Come la coppia, chiamata ad essere “immagine di Dio nel mondo” sempre è chiamata a testimoniare l’amore di Dio per gli uomini. Che gli sposi parlino o tacciano, sono comunque essi stessi Parola di Dio, tra loro e Dio c’è un legame fortissimo che passa attraverso lo Spirito Santo. Proprio perché è la coppia-Parola a soffrire difficoltà interne ed esterne, è per questo Dio stesso che soffre nella e con la coppia. Ecco perché gli sposi, consolati da questa verità, possono rinvigorire la speranza in Dio che soffre con loro e non li lascia soli. Possono avere fede in Lui che cammina davanti ai loro occhi, se essi vogliono vederlo presente nell'umiltà e nella pazienza dei gesti di accettazione e di dono reciproco. Se prendendo ogni giorno sulle spalle la croce pesante del proprio orgoglio e della propria autonomia dall'altro/a possano dire l’un l’altro: “Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.   

 

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