Quarta domenica di Quaresima anno A
Letture:
1Sam 16,1.4.6-7.10-13 Sal 22 Ef 5,8-14 Gv 9,1-41
Commento:
In questa domenica la liturgia ci invita alla “gioia”. Tradizionalmente la quarta domenica di Quaresima, detta “domenica Laetare” (della gioia, appunto) richiama questa emozione fondamentale per la nostra vita; e quanto bisogno, c’è in questo tempo, di riscoprirla!
Il cammino quaresimale che stiamo percorrendo, è cammino di conversione, non di tristezza. Convertirsi significa ritornare a casa, vuol dire volgere lo sguardo verso Dio, cogliere il suo interesse per noi, e in fine fare un passo in avanti verso di Lui e godere della sua presenza, vivendo per Lui e i fratelli.
Nella prima lettura si narra l’unzione di Davide da parte del profeta Samuele. Di Davide la bibbia ricorda le gesta, la sua abilità politica e militare, il coraggio e l’intelligenza, ma soprattutto la sua obbedienza a Dio. Figlio minore di otto fratelli, il più piccolo, perché il Signore dice: “non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”.
L’apparenza è una nostra deformazione. Non sappiamo andare affondo delle cose, tanto meno essere obiettivi di fronte alle persone che ci vivono accanto. Infatti se uno non è ricco o non ha una posizione sociale di tutto rispetto, questi non è niente. Se un altro non porta un curricolo di alta scuola, non ha voce in capitolo e agli occhi di chi lo ascolta, la sua opinione non conta affatto. Troppo impegnati a dare giudizi secondo i nostri criteri, secondo i pregiudizi che ci muovono e comandano il nostro pensare.
Molte volte questa modalità di pensiero si cala anche nei rapporti tra sposi. L’orgoglio di aver la ragione dalla nostra parte, ci rende ciechi davanti ai pensieri del nostro coniuge. Ci rende sordi agli appelli che restano dietro alle parole, ancor più non sappiamo coglier le esigenze di chi amiamo nei loro silenzi e nel loro chiudersi a noi.
Dio guarda il cuore, guarda la verità che comunque ci abita nel profondo. Guarda anche le nostre povertà, e nella misura in cui noi le riconosciamo, Egli usa benevolenza nei nostri confronti. Corre una profonda differenza quindi tra le valutazioni dell’uomo e quelle di Dio. Noi dovremmo convertirci in questo caso, cercando di imparare a valutare le cose, gli avvenimenti e le persone, con i criteri di Dio.
Nella vicenda raccontata invece dal Vangelo, il caso del cieco nato, ci indirizza verso una essenziale verità: Cristo Gesù è per noi la Luce vera, quella che illumina ogni uomo e donna che da essa si lascia raggiungere e illuminare. Il racconto infatti ci dice che non tutti si lasciano raggiungere da Gesù. Esiste un contrasto: da una parte il cieco sa di esserlo e quindi lasciandosi raggiungere da Gesù, viene alla luce e i suoi occhi possono vedere: “Credo Signore!”. Dall’altra parte, i farisei che, convinti della loro opinione, forti dei loro criteri umani di giudizio, non ammettono plausibile che un miracolo possa avvenire di sabato. “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane”. Questa loro sicurezza, questo loro radicarsi alla legge umana, li chiude ermeticamente in una cecità assoluta. Non si lasciano smuovere da niente, nemmeno dall’evidenza dei fatti, per salvare il loro schema religioso che non è lecito sia modificato.
Dio scelse il piccolo Davide e non i suoi appariscenti fratelli, Gesù si rivela come luce ad un cieco e non a color che si credono i maestri da seguire. Lo scopo è lo stesso: “Dio guarda al cuore, non alle apparenze”.
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